Quando venne il suo turno, l’anziana si precipitò infuriata allo sportello. “Accidenti a voi e al tempo che mi fate perdere! Sono venuta l’altra settimana, ho fatto tutti i documenti e ora la signorina al telefono dice che manca la carta d’identità! Così si tratta la gente? Non è…”
“Calma signora! Non so di cosa parla!” rispose duro l’impiegato, scosso dall’inattesa aggressività.
Capì con fatica che la donna voleva farsi intestare una scheda telefonica, ma qualcosa era andato storto con la procedura.
“Mi dica nome e numero. A volte le pratiche ritardano, con le schede nuove.”
“Non è una scheda nuova! Quante volte devo ripeterlo? Era di mio figlio, e adesso deve passare a me! Ma che devo fare…”
“Senta, ritorni con suo figlio, così risolviamo tutto al volo”, tentò l’impiegato, sperando di sbolognare la rogna a qualche collega.
La signora si irrigidì. Guardò verso l’alto, in silenzio, quasi cercasse di mantenere un contegno. Quando pensò di aver trovato le forze, parlò lentamente, con un timbro più basso.
“Mio figlio non può venire, se n’è andato…”
La voce si ruppe: “…la settimana scorsa”. I pugni si strinsero e le braccia presero a tremare. Il tentativo di trattenere le lacrime fu eroico ma vano. Cercò un fazzoletto nella borsa, si girò per asciugare occhi e naso.
L’impiegato, colta la verità dietro quella rudezza, fu invaso dalla compassione. Restò in silenzio, le lasciò tutto il tempo che serviva.
Quando l’anziana si riebbe, le disse con dolcezza: mi dia i documenti signora, ci penso io, non si preoccupi.