Solo un danno

dolore di ragazzaLa ragazzina stava immobile davanti allo specchio. Un istinto autolesionista la obbligava ad esaminare ogni dettaglio nella figura che aveva di fronte, dai capelli alla punta dei piedi. Non si era mai sentita più orrenda, soffriva fino alle lacrime. Ma meritava una punizione, e l’avrebbe avuta.

Sul letto il giornale che aveva sfogliato casualmente al bar. Un titolo parlava di lei, anche se nessuno glielo aveva detto.
La figlia che i genitori considerano un danno da risarcire”.
A mamma e papà non intendeva chiedere nulla, tanto avrebbero negato. O peggio ancora, avrebbero ammesso, e il suo cuore sarebbe scoppiato. Ma cosa c’era da chiedere? L’articolo era la chiave di mesi di telefonate maldestramente nascoste, di anni di pochi sorrisi e tanti sguardi carichi di disprezzo, persino durante l’infanzia.

Io sono un danno, sono solo un danno.
Le mani scendevano lungo i fianchi secchi di quattordicenne, le unghie piantate nella carne a cercare un po’ di dolore che cancellasse quell’altro, più forte e profondo.
Tra mille, riemerse il ricordo di una frase detta dal fratello chissà quando: “Non possiamo andare al cinema? Certo, al solito non abbiamo un euro” e tutti a fissarla. Aveva sentito sulle spalle il peso di così tanta colpa, senza sapere quale fosse.

Sono solo un danno, una che si è ostinata a nascere nonostante un tentato aborto. Sì, sono schifosa e cattiva.
Eppure, non riusciva ad impedirsi di implorare il cielo o il destino, che qualcuno venisse solo per lei, per abbracciarla e per convincerla che non era così, davvero.

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