Not(t)e di un insonne

Il tempo, di notteOre undici e cinque. Da bravo, stasera vado a letto presto. Niente caffè e niente tv, a tenermi compagnia fin qui ci ha pensato un buon libro. Ho fatto tutto quel che potevo fare, ho davvero bisogno di riposare.

Ore una e trentaquattro. Gli occhi chiusi non fermano l’immagine dei numeri, proiettati dalla sveglia sul soffitto e nella mia mente. I pensieri si rincorrono accelerando, non riesco a placarli. Non un alito di pace ad attenuare la stanchezza che brucia.

Ore tre e dieci. Da più di un’ora mi muovo senza requie, cerco una posizione in cui il tricipite, il gomito, o il ginocchio non inizino subito a dolermi. Ogni muscolo è teso. Un rubinetto gocciola al piano di sopra, saltuario, imprevedibile. L’ansia si aggiunge all’angoscia.

Ore quattro e trenta, circa. La faccia immersa nel cuscino, contengo a fatica una rabbia violenta. Ho bisogno di dare la colpa a qualcuno o a qualcosa, per questo inferno che mi consuma. Impreco sottovoce, per non svegliare mia moglie.

Ore cinque e diciassette. Sono furioso, sbavo. Ho avuto l’allucinazione di un canguro in scarpe da tennis in piedi sul letto. Devo, devo sbollire. Mi alzo, prendo un coltello dal cassetto, esco di casa in pigiama.

Ore sei e cinque. Le incipienti luci del giorno e la frescura mi donano infine un brivido di torpore. Sono appena rientrato: ora mi sento calmo, in pace con me stesso e col mondo. Metto la sveglia avanti, arriverò un po’ più tardi in ufficio ma con due ore di sonno buono sono salvo.
Spero mia moglie non si spaventi per il sangue sul pigiama.

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