-Ti ho fatto perdere il bus, colpa del caffè
-Non importa, il prossimo è tra mezz’ora
-Sono 40 minuti buoni e non mi piace lasciarti in mezzo a ‘sto casino
La fermata era incastonata tra i binari del tram, un corso trafficato e un controviale non meno animato.
-Faccio quattro passi, stai tranquillo
Congedò il marito con un bacio davanti all’ingresso della sua azienda, un imponente edificio appartenuto ad un altro mondo.
Qui era tutta campagna, le aveva detto lui una volta.
Un’iscrizione ricordava che il complesso era in origine destinato ad ospizio.
Mentre camminava lungo il marciapiede, cercava di figurarsi i campi e un orizzonte privo di edifici.
Troppi ostacoli costringevano però la fantasia ad arenarsi su una realtà caotica e maleodorante.
Un anziano frugava in un cassonetto, imperturbabile ai clacson che si inseguivano lì a fianco.
Si scostò al passaggio di un gruppo di studenti che percorreva il marciapiede con l’invadenza chiassosa della gioventù.
Una parte del grande edificio ospitava una facoltà universitaria.
Le si affacciarono alla mente i cortili della sua università, simili a chiostri, con la magnolia e il glicine cui non aveva mai badato, come fossero presenze scontate.
Ripensò ai vent’anni e non ne ebbe nostalgia, né invidiò quei visi che parevano così spensierati.
Un calcio, dalle profondità del ventre o dell’esistenza stessa, la richiamò alla realtà.
Guardò l’orologio e le sembrò che, in quel traffico incessante, anche il tempo procedesse più rapido.
Portò una mano al pancione affrettandosi verso la pensilina.
NOTA: Ospito oggi il post di un autore/autrice che preferisce rimanere nell’ombra, e che stimo immensamente