Grigio come un fumo di scarico, sempre e solo uguale a sé stesso, si trascinava vagamente disperato verso il posto di lavoro. Giacca scura, cartella di pelle lisa in mano, una pelata dissimulata da un ciuffetto comunque prossimo alla resa, spessi occhiali a riflettere l’asfalto del marciapiedi.
Non amava pensare a cosa l’avesse portato a vivere così. Gli sembrava che nel suo passato ci fosse un ragazzino, magari non brillantissimo, ma comunque abbastanza allegro e dotato di qualche sogno e speranza. Uno che nel suo piccolo pensava persino di cambiare il mondo, trovandosi infine a non poter cambiare nemmeno l’auto.
Perso in pensieri di riunioni e scadenze, fu davanti al grigio edificio e realizzò di non avere memoria alcuna del percorso fatto.
E fu assalito da un panico insopportabile, come avesse capito solo in quell’istante che lo spietato tran tran era ormai prossimo a cancellare l’ultima traccia della sua umanità.
Doveva fuggire da quella prigione interiore, anche solo per un secondo, ricordare a sé stesso di essere vivo per ritornare poi buono buono nei ranghi.
Chiuse gli occhi incurante della calca attorno a lui, inspirò profondamente l’aria malsana.
Poi allargò le braccia come faceva da bambino, ed inizio a roteare, goffo ma determinato.
Ahia! – La ragazza colpita in pieno viso cadde a terra.
L’uomo riaprì gli occhi e fu impietrito dalla vergogna per lo sguardo giovane e severo che lo interrogava da sotto un cappello a fiori rossi.
Senza una parola o un cenno corse in ufficio e alla sua rassicurante penombra.