Lockdown

Aveva raggiunto un equilibrio perfetto.

Non si muoveva più di quanto non fosse strettamente necessario: dal letto al bagno, poi in cucina per la colazione ed il lavoro – il portatile era ormai incollato al tavolo. La comoda sedia girevole che si era fatto consegnare gli permetteva di non alzarsi, mentre organizzava il frugale pranzo. Data l’irrisoria attività fisica, poteva mangiare pochissimo, e del resto il cibo gli era venuto a noia.
Se lo schienale fosse stato reclinabile, forse avrebbe pensato di passarci la notte, su quella sedia.

Certo, i primi tempi erano stati duri. Perdere le abitudini, il contatto con le persone e tutto il resto. Ma col passare delle settimane, qualcosa di inatteso si era manifestato. Una sorta di nebbia mentale che, senza renderlo meno brillante (il lavoro ne avrebbe risentito), aveva intorpidito i sensi ed i bisogni fisiologici.

Una pace insperata, nessun desiderio residuo.

Una situazione molto zen, avrebbe forse commentato il suo collega avvezzo alle cose spirituali. Ma a lui quell’argomento non interessava. In tutta onestà, nessun argomento ormai lo entusiasmava più.

Il cicalino lo informò della videochiamata in ingresso. Sbuffò, prima di rispondere.
“Si può sapere che fine hai fatto?”
“Eh… il lockdown…”
“Ma è finito da tre mesi, dai! Al bar manchi solo tu, non scendi più nemmeno per fare la spes…”
Click.

Spense il pc all’improvviso, ubbidiente alla voce del suo vuoto interiore.
Perché dare spiegazioni, perché parlare.
Forse, quel giorno avrebbe anche evitato il fastidio di mangiare.

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