Rinata dalle acque

Nata dalle acqueAd un tratto non capisco più niente, ricordo solo ansia acqua occhi che bruciano terrore ti prego Gesù non farmi affogare. Visi che mi guardano dalla battigia: vi scongiuro, aiuto, subito.
Dal cielo arriva un salvagente, cade a due metri. Mi muovo scomposta, lo tocco, mi avvinghio e piango. Spezzata, felice, viva. Poi non ricordo più nulla.

Lo scopro solo il giorno dopo: l’uomo che mi ha tirato il salvagente è morto. L’articolo recita duro: chi è stato salvato non ha detto nemmeno grazie.
E’ vero.

Mi hanno insegnato sin da piccola a ringraziare per i regali. Ora realizzo di non aver mai capito davvero il senso di quella che per me è sempre stata pura formalità.
Di fronte a un dono così assoluto, un “grazie” è tanto ridicolo da essere offensivo.
Con che occhi potrei guardare chi ha perso il padre, il marito, il figlio?

Del resto, non riesco neppure a guardarmi allo specchio. Il mare ha messo a nudo la mia fragilità: non la conoscevo, è vertiginosa, inaccettabile. Mi atterrisce che lui non solo l’abbia guardata, ma ci sia entrato dentro.
Come ha potuto sopportarne la vista? Perché l’ha protetta a costo di sé?

Forse.

Forse, in quello scrigno di miseria c’è un tesoro.

Non avevo mai compreso quanto preziosa fosse la mia esistenza. Lo scopro guardandomi con gli occhi di Enzo, ed insieme scopro quanto preziose siano le vite accanto alla mia. Numerose, uniche, ferite, inestimabili.
La gratitudine è un bagno di umiltà doloroso. Il premio per chi lo accetta è rinascere.
Enzo mi ha salvato la vita non una ma due volte. Ora tocca a me.

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