Apatico Bar

SguardOpacoAttorno a sé non vedeva facce, solo maschere spente e vuote. Alcuni giorni andava meglio, c’erano gli alti e i bassi, ma in generale sentiva di non sapersi più connettere al resto del genere umano.
Prima del lavoro si fermò a fare colazione al bar. Cappuccio e cornetto, aveva sempre scelto quell’accoppiata e sebbene non ne andasse matto non c’erano nemmeno ragioni evidenti per cambiare, che tanto nessuna delle alternative gli appariva interessante.
Scorse un giornale, si parlava ancora di terrorismo. Lesse distrattamente che anche la sua città era a rischio. Si accese un campanello d’allarme: non per l’informazione, ma per la mancata reazione interiore. La cosa non lo sfiorava, come non lo riguardasse.

Il sincronismo tra sé e le emozioni non funzionava più, ormai era evidente. Riprovò ad azionare l’innesco.
Quello potresti essere tu. Tu coinvolto in una sparatoria, in un’esplosione, le tue carni lese, il dolore.
Niente.
Anzi, qualcosa. Un sottile senso di sollievo, come l’orizzonte di una meta di pace, la fine di tanta fatica.
Forse è il caso che chiami quel dottore. Prese il telefono ed un biglietto da visita dal portafogli. Si mise a fissarli per un tempo indefinito.
Ma perché.
Non sto bene, ma neanche male. In un certo senso, sono privilegiato. Tutto è sfumato nel mio mondo.
Un’ovatta che toglieva dolore e senso, tristezza e motivazione nel ripercorrere sempre e inutilmente gli stessi passi.
Chi voleva imbrogliare. Non sarebbe andato lontano senza aiuto.
Eppure, ripose il telefono e mosse verso il lavoro, come sempre.

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