Stanco del cielo azzurro, il piccione in volo approfittò di una porta aperta ed entrò nella grande costruzione dalle forme curve che tanto lo incuriosiva.
Si trovò in uno spazio immenso ma senza vie di fuga. La volta altissima era affrescata con immagini di persone dalla testa inanellata. Al centro, gli parve di vedere un parente, ma no, era solo una grande colomba bianca.
Sebbene dal basso provenissero gradevoli melodie di voci intessute, si stancò presto dell’esplorazione. Si sentiva a disagio: non vedeva più l’apertura da cui era entrato. E poi, gli uomini e donne canuti che stavano sotto di lui, ne avevano notato la presenza.
– Vai via bestiaccia!
Il più infervorato tra tutti era un antico signore vestito di un unico abito nero che andava dal collo ai piedi. Agitava le mani ed urlava come un matto.
– Fuori dalla casadiddio, brutto schifoso!
L’agitazione crebbe. Per quanto cercasse, non c’erano finestre a cui appellarsi per una sortita. Il piccione si spostava da una parte all’altra della cupola in modo sempre più veloce e sguaiato.
– Esci, dannato! Vattene via!
La tensione divenne infine terrore. Fu lì che l’animale perse il controllo degli sfinteri, andando a colpire in pieno la faccia di un uomo tarchiato e calvo.
– Brutto animale di m… ma porco d…!
Il piccione volò lieve sulla bestemmia, perché in quell’istante aveva riconosciuto l’agognato uscio. Vi si gettò imprimendo alle ali tutta la residua forza.
Finalmente libero, non poté sentire il silenzio devastato che si era lasciato alle spalle.